Carissimi, domani porterò al Vescovo la lettera di rinuncia/dimissioni alla parrocchia di Ponte Ronca. Anche questo gesto sarà nello stile di limpidezza, onestà e trasparenza, che ha sempre caratterizzato il mio modo di comportarmi.
Sono passati ormai 12 anni da quando sono arrivato qui; un tempo lunghissimo.
Non mi voglio soffermare sulle cause di questo avvicendamento alla guida della parrocchia; il vescovo mi disse già molti mesi fa che 10 anni erano abbastanza; la necessità di creare unità pastorali ha dato pure il suo contributo; ma le grandissime difficoltà che ho sperimentato, soprattutto l’ultimo anno, hanno, sicuramente, accelerato il processo.
Vorrei soprattutto fermarmi sul grandissimo amore e affetto che ho ricevuto; per questo non potrò mai ringraziare abbastanza.
Spero che abbiate recepito anche l’amore che ho desiderato lasciarvi: un amore che risente delle mie caratteristiche positive e anche dei miei limiti, delle mie risorse e delle mie fragilità. Vi ha amati Matteo, non un prete, ma Matteo.
Che potessi fare meglio, è fuori discussione che abbia dato tutto quello che la mia vita mi ha consentito, lo è altrettanto.
La parrocchia è molto cambiata, per infiniti motivi. Vorrei come dare gli estremi della mia presenza qui, come per indicare un cammino. Gli estremi sono la scuola di teologia e gli spettacoli della festa della famiglia, cose svolte nel nostro preziosissimo salone.
Estremi perché mi pare che raccontino una serietà nella ricerca su Gesù, su Dio, sulla fede, sulla Chiesa, ma fatta con tutta la leggerezza del caso.
All’interno di questi estremi ci stanno estate ragazzi, i campi estivi, i viaggi, le riunioni di tutti i tipi, gli incontri con allenatori e teologi, i pranzi comunitari, i mercatini, i tortellini, le feste quadriennali, le tantissime persone accolte in parrocchia, i concerti di Natale che debbono continuare, le tre giorni Aprile-Maggio, le comunioni ai malati … e la messa domenicale vissuta sempre con serietà e ironia. E voglio precisare che nessuna di queste cose era fattibile senza la collaborazione di tantissimi.
Gesù, vero uomo, è venuto a prendersi cura dell’uomo, della sua pienezza e fioritura: questa è stata l’ossessione della mia vita, della mia presenza qui. E credo che sia stata anche la fonte delle cose più belle ma anche delle più difficili.
Non a tutti è piaciuta o piace la mia vita; a nessuno, però, era lecito portare in pubbliche piazze valutazioni negative su di me, che hanno fatto male a me ma soprattutto alla comunità.
Non sono una persona che coltiva rancori o cerca vendette; mi chiedo solo perché e a che cosa è servito. Gesù schiaffeggiato nel processo chiede: perché?
La Chiesa è fatta di peccatori; a mie spese ho faticosamente imparato che i limiti, le ferite sono le feritoie attraverso cui passa la grazia di Dio. Nella Chiesa spesso i limiti e le ferite degli altri sono le occasioni per dimostrare la nostra cattiveria.
Il Vangelo promette che i pubblicani e le prostitute ci precedono nel Regno dei Cieli. Matteo, il mio patrono, era pubblicano. Magari vi avessi anche solo mostrato come è gratuita e bella la grazia di Dio che ci porta poi al banchetto insieme.
Io non avrò una parrocchia, andrò ad officiare in zona santa Rita di via Massarenti, e per il resto continuerò a fare quello che ho fatto in questi anni.
I doni che il Signore ha fatto a questa parrocchia sono tantissimi; so che non li vorrete disperdere. Nulla va perduto se collocato nella mani, sul corpo di Gesù, come l’olio di Maria di Betania che profuma tutta la casa.
Il grande profeta ad un certo punto dice vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire, spendere tutti i tuoi giorni passati. Beh, tante volte me lo sono chiesto anche io. A che cosa è servito se così presto hai dovuto partire
Bella domanda; domanda che ci siamo posti tante volte, a partire dalla morte di Simone. Per lui capimmo che la questione era una scia di luce.
Non pretendo tanto. Ma me lo auguro.